Intervista esclusiva al titolare del ristorante Antico Moro “Dar Moro” di Trastevere, locale dove le tipiche specialità romane convivono con quelle della Persia e della Mesopotamia millenarie. Svelando legami inattesi…

Lo storytelling si applica molto bene alla gastronomia, questo già lo sappiamo. Anoshiravan Nogrekar, cittadino iraniano approdato nel 1976 a Firenze (dove ha imparato a fare le cose “a modino” e a “spengere” la radio, come ama dire), nel suo ristorante romano Antico Moro “Dar Moro” fa conoscere attraverso il cibo cucinato sul forno a carbonella portato appositamente da Teheran le mille e una storia di una civiltà antichissima. Più antica di Roma. E che nondimeno con l’arte culinaria romana ha numerosi punti di contatto. Ma sentiamolo dalle parole del titolare.

Quando è iniziata la storia dell’Antico Moro?

L’ho rilevato il 27 luglio 2020, in piena crisi Covid-19. Tutti mi hanno dato del pazzo. Ma la location di Via Del Moro 61/62 a un passo da Piazza Trilussa, in pieno Trastevere, è davvero bellissima. E anche strategica: quando tornerà a esserci movimento, io avrò tutte le carte per poter esprimere al meglio la mia passione. Ho anche calibrato la politica dei prezzi sugli effetti negativi che questo periodo ha avuto sulle finanze degli Italiani: un menu “classico” comprendente primo, secondo e dolce costa 25 euro, bevande escluse. Già prima che subentrassi io il ristorante si chiamava “Antico Moro”. Mi piaceva quel nome, nel quale mi identificavo: sono infatti di carnagione scura e adesso inizio anch’io a sentirmi un po’”antico” (in verità Nogrekar compie fra tre giorni 64 anni, ndr). Gli ho aggiunto la dicitura “Dar Moro”, in buon romanesco… Rispetto alla gestione precedente, durata 23 anni, c’è continuità nell’offrire le specialità romane, alle quali però si aggiungono i piatti tipici dell’area mesopotamico/babilonese. In questo sono affiancato da Donato Putignano, di origini lucane ma da 40 anni dedito alla cucina romana: nonostante sia un grande chef, quando si mangiano i suoi piatti sembra di essere a casa propria. Il sabato da noi si mangia la trippa alla romana; inoltre le sue fettuccine alla gricia con salsa di carciofi sono semplicemente irresistibili… e lo dice uno a cui né la trippa né i carciofi sono mai piaciuti!“.

Cucina mesopotamico/babilonese… un binomio alquanto esotico. Eppure anche la cucina romana rientra in certo senso in questa categoria. Un’affermazione coraggiosa… ci spieghi meglio.

Nella storia, i piatti migliori sono quelli della cucina dei poveri. Vale per l’Italia con Roma e prima ancora è stato così per la cucina persiana. Prendiamo per esempio i vari lessi, la trippa – in Iran se ne prepara una molto simile al lampredotto toscano – e soprattutto le carni cotte alla brace: l’abbacchio, ossia le costolette di agnello alla griglia, sono la variante romana degli shishliki, antica specialità orientale ben nota anche nell’Europa dell’Est e in Russia, dove si chiamano shashlyki. Sono la stessa cosa, con la differenza che in Oriente vengono marinate e lavorate artigianalmente con i nostri aromi. Per insaporire noi usiamo cipolla, zafferano – un’invenzione dell’agricoltura persiana – così come anche mele, pere, melagrane, frutti coltivati in Persia da epoche remote. Così anche per l’orzo (7mila anni fa i Persiani bevevano birra). Pure il vino è noto in quella regione da tempi lontanissimi – 8mila anni! -, sebbene oggi la Repubblica Islamica ne vieti la produzione“.

Quindi il Suo ristorante, ispirandosi alle culture preislamiche della Mesopotamia e della Persia, offre in menu anche gli alcolici?

Sì. Il messaggio è quello di far conoscere le cose anche nella loro origine. Tutti conosciamo lo Shiraz: oggi di questo nome si fregiano etichette francesi e anche italiane, ma si tratta di un vino che bevevano gli antichi Persiani. L’italiano medio identifica peraltro noi Iraniani con gli Arabi, ma noi non siamo Arabi. Come testimoniato dalla nostra lingua, il farsi, che si è conservata anche dopo la conquista islamica della Persia avvenuta nel VII secolo d.C.“.

Ci sono altri prodotti che vengono da più lontano di quanto pensiamo?

La feta greca è identica a un formaggio del nord-est iraniano, circostanza che si spiega col fatto che l’impero persiano giunse ad affacciarsi sul Mediterraneo. Stesso discorso per gli involtini ripieni di riso o carne avvolti in foglie di vite (dolmeh) e per tutti i tipi di kabab, oggi diffuso dappertutto, con varianti turche, bulgare, greche e arabe (shawarma). Tuttavia, in origine era una specialità della cucina babilonese. Un ulteriore esempio è la panna acida in uso nell’Est Europa e in Russia (smetana) – la cosa non stupisce, visto che il regno di Dario giunse fino ai territori dell’odierna Ucraina -: in Persia veniva già usata in tempi antichissimi col nome di kashk, ed è ancora oggi ingrediente imprescindibile di una zuppa di verdure dove si presenta quasi allo stato solido, legando perfettamente con aglio, cipolla e polpettine di carne“.

Nel Suo ristorante si possono gustare tutte queste specialità?

L’attuale Dpcm rende la cosa difficile. Al momento siamo aperti solo a pranzo, con 40 coperti a fronte degli 84 di prima della pandemia; oggi, per esempio, non è ancora passato nessuno. Ho fatto spese per preparare i piatti della cucina romana, ma non ho ancora venduto un singolo piatto. Figurarsi se facessi anche le spese per la cucina mesopotamica, che peraltro richiede preparazioni molto lunghe… rischierei di dover buttare via tutto! Il discorso cambia in presenza di prenotazioni importanti: mercoledì scorso ho cucinato per 12 persone (pittori e intellettuali, tutti romani) un menu babilonese completo, dall’antipasto al dessert… si tenga però presente che la nostra usanza è quella di servire primo, secondo e contorno in un unico piatto. In condizioni normali, dedicherei ogni mercoledì della settimana interamente a questo genere di cucina, offrendo alla sera anche musiche e danze in tema. Ma per adesso non mi posso esprimere al meglio delle mie possibilità…“.

Oltre alle cotture alla brace e alle marinature, quali sono le tecniche e preparazioni principali della cucina mesopotamica?

Una particolare cottura al vapore a più riprese viene utilizzata per il nostro riso “basmati” speciale affumicato, che costituisce una base importante per le nostre pietanze e costa 70 euro per 5 chili anziché i 2,5-3 euro al chilo del basmati reperibile nei supermercati. Un’antica ricetta prescrive invece di cuocere il pane di farina integrale (sangaq) in forni di pietra. A proposito di pane, persiani sono sia il lavash, antenato della vostra piadina sia il taftoon, papà della pizza…“.

Non ci rimane proprio niente, a noi Italiani…

L’Occidente è lo specchio della cultura dell’Oriente. E sempre stato così, sebbene le innovazioni tecnologiche del secolo scorso sembrino aver invalidato il discorso. Studi autorevoli ipotizzano che lo stesso Dante Alighieri abbia tratto ispirazione per la vicenda raccontata nella Divina Commedia dal persiano Libro di Artay Virap, che racconta di un viaggio nell’aldilà. Per non parlare della suggestione esercitata dai versi del poeta persiano Hafez su Goethe“.

Ha accennato a materie prime molto costose.

Il ‘piatto imperiale’ dell’Antico Moro le riunisce tutte: antipasto di caviale (servito con vodka russa), riso “basmati” speciale ad accompagnare spiedini di filetto di manzo fatti riposare due giorni su letto di zafferano (spezia costosissima) e poi cotti alla brace, senza dimenticare macinato di carne, pomodori alla griglia e gelato persiano doc. Il prezzo? 150 euro.
A pensarci bene, manca solo il tè bianco. Pure esso molto oneroso, ma anche estremamente salutare”.

Lei si è laureato all’Accademia di Belle Arti… i quadri alle pareti del Suo locale paiono suggerirlo.

Mentre arredavo il ristorante, alcuni artisti avevano allestito una mostra collettiva nelle vicinanze. Sono andato a conoscerli, gli ho chiesto se volevano esporre alcune loro opere nell’Antico Moro, una buona vetrina per eventuali acquisti (in tempi normali, s’intende). Loro infatti hanno accettato. Alcune tele, poi, me le sono comperate io. C’è un quadro di Daniele Colaiacomo che mi piace particolarmente: raffigura una folla bendata, con l’unica eccezione di una bambina dallo sguardo intenso. Lo trovo emblematico della situazione attuale: siamo tutti ciechi, portiamo mascherine al posto di bende e la nostra unica speranza è riposta nei bambini“.

Ora ci parli un pò della Sua vita.

Sono arrivato in Italia a 18 anni, tre anni prima della rivoluzione islamica che avrebbe sancito la fine dell’epoca dello Scià e la vittoria dell’Ayatollah Khomeyni. Cinque dei miei fratelli avevano optato tutti per gli Stati Uniti; io invece, affascinato dai film con Marcello Mastroianni e Sophia Loren, avevo scelto Firenze. Come già sapete, mi sarei laureato in Belle Arti. All’inizio avevo però frequentato Scienze Politiche all’università, volevo seguire un tipo di studi affine a quelli di mio padre, che è stato un grande avvocato nella Teheran pre-rivoluzionaria. Dove è anche morto nel 2019, all’età di 96 anni“.

Tradizionalmente però la Sua famiglia si occupa di gioielli…

Nella lingua farsi, “nogrekar” significa argentiere. E argentieri, orafi e tagliatori di diamanti sono pressoché tutti i cugini di mio padre, di grado più o meno stretto. Un’eccezione significativa è data da un altro antenato di mio papà, vissuto nella città di Kashan durante la dinastia dei Safavidi (1501-1703): era un rabbino ebraico, che a un certo punto della sua vita decise di convertirsi all’Islam. In effetti, ancora al giorno d’oggi tra i cugini di mio padre figurano tanto gli ebrei quanto i musulmani. Con lo stesso cognome. E con la stessa professione. Mio padre tuttavia non si identificava con nessuna religione. Era un cittadino del mondo“.

Torniamo a Firenze.

Lì, ancora da studente, inizio a lavorare presso la Società Dante Alighieri, ben nota istituzione che ha il compito di insegnare l’italiano agli stranieri. Mi occupavo delle pulizie, si può dire che fossi una sorta di bidello. Fino a quando intorno al 1979-80 non mi venne l’intuizione di fare un bar/ristorante dell’angolo della scuola dove un amico organizzava per due ore alla settimana un corso di cucina italiana per stranieri. Fu un grande successo, che sancì il mio ingresso nell’ambito della ristorazione. Che non è stata però l’unico settore in cui ho operato: nel corso degli anni ho aperto una settantina tra locali ed esercizi vari tra Firenze e Roma, spesso per l’abbigliamento e la lavorazione della pelle“.

Lei si reca di frequente in Iran. Ci aggiorni sulla pandemia in quel Paese.

“Inn Iran non è stato chiuso niente e le mascherine non sono obbligatorie (la gente le indossa lo stesso), eppure il tasso di mortalità è molto più basso rispetto all’Italia. Anche lì sono attualmente in corso le vaccinazioni. Secondo me hanno gestito l’emergenza molto meglio degli Italiani“.

A.G.