Blocco delle attività nell’alto Tirreno
Stop al pesce fresco nell’alto Tirreno per l’avvio del fermo pesca che porta al blocco delle attività della flotta italiana nel tratto tra Livorno e Imperia. Fino al al 2 novembre è quindi vietata l’uscita in mare dei pescherecci nel tratto dalla Toscana alla Liguria, mentre domani tornano all’opera le marinerie della costa che va da Brindisi a Napoli fino a Gaeta.
Si registra come il fermo cade quest’anno in un momento difficile poiché il blocco dell’attività va a sommarsi all’aumento drastico della riduzione delle giornate di pesca imposta dalla normativa europea, per le imbarcazioni operanti a strascico. Le giornate di effettiva operatività a mare sono scese per alcuni segmenti di flotta, per i segmenti di maggiore tonnellaggio, a circa 140 all’anno, rendendo non più sostenibile l’attività di pesca considerata anche l’assenza di un efficace sistema di ammortizzatori e di valide politiche di mercato capaci di compensare le interruzioni. Senza la riduzione del periodo fisso di blocco delle attività almeno per l’areale Adriatico, l’apertura alla tutela differenziata di alcune specie e la possibilità per le imprese di scegliere i restanti giorni di stop, “l’assetto del fermo pesca 2021 non risponde ancora alle esigenze delle aziende le quali si trovano ancora costrette a concentrare un’attività che deve sostenere l’impresa di pesca per 365 giorni in appena 140-170” e neanche “alle esigenze della sostenibilità delle principali specie target della pesca nazionale, tanto che lo stato delle risorse nei 35 anni di fermo pesca, per alcune specie, è progressivamente peggiorato, come anche parallelamente lo stato economico delle imprese e dei redditi dei lavoratori”.
A causa pandemia, il settore ha avuto un crack da 500 milioni di euro tra produzione invenduta, crollo dei prezzi e chiusura dei ristoranti, senza dimenticare l’aggravio di costi per garantire il rispetto delle misure di distanziamento e sicurezza a bordo delle imbarcazioni. Se si considerano anche gli effetti combinati del surriscaldamento i cambiamenti climatici, delle importazioni selvagge di prodotto straniero e di una burocrazia sempre più asfissiante, il risultato è la perdita nello spazio di un trentennio del 33 per cento delle imprese e di 18 mila posti di lavoro, con la flotta ridotta ad appena 12mila unità e con una vetusta età media del naviglio di circa 36 anni.