Sono pronti a rottamare la barca e cambiare mestiere tanti pescatori di Sciacca (Agrigento), secondo porto peschereccio della Sicilia dopo quello di Mazara del Vallo: non ci sono più pesci, soprattutto quello azzurro, e gamberi in mare. Un problema che coinvolge diverse marinerie della costa sud siciliana Lampedusa compresa.
“Il pesce nel Mediterraneo è sempre di meno, e i giorni di lavoro in una settimana si contano ormai sulle dita di una mano”, dice Stefano Soldano, proprietario di uno dei 20 pescherecci che effettuano la pesca ‘volante a coppie’, specializzata nella cattura sottocosta di sarde e alici. “Quando andiamo per mare – aggiunge – a fine giornata a bordo tiriamo reti quasi vuote, oppure rischiamo di catturare pesce appena nato, quindi non commercializzabile”.
Il settore della pesca a Sciacca è composto da 120 imbarcazioni, la maggior parte delle quali effettuano la pesca a strascico. Un migliaio gli addetti, tra diretto e indotto, che secondo i calcoli della cooperativa “Madonna del Soccorso” contribuiscono al Pil cittadino con almeno 20 milioni di euro l’anno. I pescatori di Sciacca, che attraverso le tre cooperative locali che li rappresentano nei mesi scorsi avevano chiesto il riconoscimento dello stato di calamità naturale, chiedono una revisione delle modalità che regolamentano il fermo biologico. “Abbiamo bisogno di aiuti economici concreti, di sostegni al reddito”, aggiunge un altro armatore, Antonino Ciancimino.
“Oggi – osserva – è diventato dispendioso andare al lavoro, perché tra consumo di gasolio e il pagamento della giornata agli equipaggi, subiamo perdite economiche insostenibili”. Ciancimino poi conferma: “In mancanza di interventi concreti sarà sempre più preferibile rottamare i pescherecci, anche senza il contributo previsto dall’Unione europea per chi disarma”.
L’Unione europea è considerata quasi ‘nemica’ dei pescatori, visto che da anni diversi tratti di mare al largo di Sciacca sono stati chiusi per favorire il ripopolamento ittico, impedendo ai pescherecci di accedervi. “Non percepiamo alcun reddito, a differenza di altre regioni costiere italiane che, invece, stanno aiutando i loro pescatori”, dice Calogero Graffeo. Situazione, quella della mancanza di pesce nel Mediterraneo, peggiorata notevolmente nel corso degli ultimi 12 mesi. “Un tempo lavorare nella pesca, pur essendo un grande sacrificio, quanto meno ci gratificava economicamente”, dice Salvatore Bivona, pescatore pensionato.
“Mi piange il cuore, ma purtroppo questo lavoro qui da noi non ha più prospettive” aggiunge. Anche perché i giovani stanno rinunciando. Aumenta ogni giorno il numero di quelli che preferiscono lasciare il settore, dedicandosi all’agricoltura o all’edilizia oppure emigrando verso il Nord Italia, alla ricerca di un reddito più garantito”.
“La Confsal pesca comprende il forte disagio e la preoccupazione di chi vede ogni giorno il mare restituire sempre meno, rendendo il lavoro faticoso e economicamente insostenibile. Il rischio che molti siano costretti a lasciare questa storica professione è un allarme che non può essere ignorato. Per questo, riteniamo indispensabile il riconoscimento immediato dello stato di calamità naturale, affinché si possano attivare strumenti di sostegno economico e sociale che diano respiro concreto ai pescatori e alle loro famiglie. Chiediamo una revisione equilibrata delle misure di fermo biologico e delle aree interdette, che metta al centro la tutela delle risorse senza sacrificare la dignità e la sopravvivenza delle imprese. Sollecitiamo con urgenza le istituzioni nazionali ed europee a intervenire con misure concrete, perché il lavoro dei nostri pescatori non venga abbandonato, ma valorizzato in una prospettiva di sostenibilità ambientale e sociale“.